“PUNTA SACRA” Il documentario di Francesca Mazzoleni

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Il 23 febbraio del 2010 è una data che a molte persone non dirà quasi nulla, ma per quelle famiglie che abitavano – e 500 di loro abitano ancora – all’Idroscalo di Ostia, è il ricordo di un giorno di dolore, di sfida, di lotta e di resistenza per difendere e mantenere un diritto primario: quello di avere una casa, il diritto di abitare, quindi di vivere. Alle luci dell’alba di quella giornata, e poi nelle successive, quell’ultima striscia di terra del litorale romano prima della foce del Tevere, che all’inizio si chiamava “Carlo del Prete” e poi Idroscalo – già ex impianto per l’ammaraggio e il decollo di idrovolanti e aerei anfibi – venne invasa da una ‘marea’ blu di oltre mille agenti tra Protezione Civile, Polizia, Carabinieri, Vigili del Fuoco e Digos che si riversarono sulla piazza principale assieme alle ambulanze, alle ruspe e ai camion per la distruzione e rimozione delle macerie, protetti sul mare dalle motovedette e in aria dagli elicotteri. Molti abitanti di quel posto – che nei giorni precedenti erano stati informati dell’assalto – erano già lì che li aspettavano svegli, chi seduto nelle proprie macchine per ripararsi dal freddo, chi in piedi.

Come negli sgomberi delle case occupate degli anni Settanta, furono le donne ad andare avanti con le mani alzate, alcune con i bambini in braccio, come a voler ribadire che erano (e che sono) famiglie, gente pacifica non avrebbero mai voluto vedere buttare giù le loro case, ma non ci fu niente da fare. I nuclei antisommossa, sbattendo i manganelli sugli scudi, avanzarono compatti. Uomini in divisa, ma soprattutto agenti donne che si rivolsero direttamente alle donne dell’Idroscalo, intimandole di arretrare. Donne contro donne. Nel corso della giornata, trentacinque case furono sgomberate, circa centocinquanta persone vennero sfrattate, tra cui diciassette bambini, e dal Comune furono assegnati diversi appartamenti nei Centri di Assistenza Abitativa Temporanea per supplire alla cronica carenza di alloggi, soprattutto alla mancanza di case popolari.

 

Cinquecento di quelle famiglie, nonostante gli sfratti, gli sgomberi e le distruzioni, sono rimaste a vivere lì, in quel posto che molti legano solo ed esclusivamente a un altro episodio tragico, la morte di Pier Paolo Pasolini, che lì venne ucciso il 2 novembre del 1975. “In realtà, non venne ammazzato all’Idroscalo, ma nella zona dove oggi c’è la Lipu” (il Centro Habitat Mediterraneo gestito dalla Lega Italiana Protezione Uccelli, ndr)”, come fa notare Franca Vannini in Punta Sacra, il documentario di Francesca Mazzoleni presentato alla 15esima Festa del Cinema di Roma in concorso ad Alice nella Città, dopo aver già vinto il Sesterce d’Or La Mobiliére, il premio più importante di Visions du Réel, uno dei maggiori festival internazionali dedicati ai documentari, e il premio per la Miglior Regia e l’Art Cinema CICAE all’Annecy Cinéma Italien.

“L’intento era quello di raccontare l’altro lato di un luogo complesso, un pezzo fondamentale della storia di Roma, un’idea di vita comunitaria alla quale non siamo più abituati”, ci spiega la regista, classe 1989, catanese ma romana d’adozione. “Per troppo tempo è stato associato solo alla morte di Pasolini, al degrado e ai racconti cinematografici di criminalità, e troppe volte è stato usato per la sua estetica e per la sua storia, ma solo per raccontare vicende di una realtà diversa da quella che sembra”. Guardando i poco più di novanta minuti di questo documentario inaspettato, intenso e pieno di vita che a breve uscirà nelle sale (è prodotto da Morel Film con Patroclo Film e distribuito da True Colours), la telecamera ci apre le porte delle case realizzate spesso con mezzi di fortuna, del cuore e dell’anima di quella comunità con vite al limite come il luogo che le ospita animato da libertà, precarietà, resilienza e una continua voglia di normalità. Un luogo con le sue persone che la regista è riuscita a incontrare da vicino e a conoscere molto bene, accettata e accolta come una di famiglia, stando con loro giorno e notte, per otto anni.

La regista di Punta Sacra c’era sempre, ma in realtà era come se non ci fosse: senza mai abbandonare il realismo, ha osservato e cercato di spiegare prima di tutto a sé stessa quella condizione al limite; ha parlato a lungo con uomini, donne, bambini, ragazzi e ragazze (molti di loro li ha visti crescere) che tra nostalgia, pragmatismo e voglia di riscatto hanno aperto le loro stanze fisiche e quelle dell’anima ribadendo, non solo a parole, un unico desiderio: restare in quel luogo che per tutti loro è casa.

“Non vogliamo essere discriminati solo perché viviamo in una zona così, isolata” – ci dice Silvia Fontana, 16 anni, una delle protagoniste del film Punta Sacra. “Questo doc – aggiunge il rapper Yuri Ramos, in arte Chiky, anche lui tra nel film – è una boccata d’ossigeno che ci rende onore, perché ci racconta dall’interno, nella nostra intimità, raccontando molto di più dell’immagine stereotipata che ci hanno costruito addosso”. Essere custodi di un posto è diverso dall’essere proprietari, dice nel film Don Fabio, parroco dell’Idroscalo, ma in realtà tutti loro si sentono proprietari delle loro case, come continua a spiegarci il giovane rapper. Punta Sacra diventa così il simbolo di un abusivismo di necessità che non ha nulla a che vedere con quello dei palazzinari. Il rischio di demolizione, la forza distruttrice della natura e il mondo degli interessi commerciali, sono le ombre che la circondano e che se la contendono, ma a questa stretta di incertezze e pericoli essi rispondono, tutti insieme, con una straordinaria forza vitale, tra feste, amori, liti, celebrazioni, appunto, vivendo.

 

“Sono otto anni che facciamo la battaglia per toglierci il nomignolo che ci davano di brutti, sporchi e cattivi, cani sciolti, baraccati, abusivi – spiega nel film la nonna/Magnani/Vannini. “Hanno cominciato a demolire l’idroscalo per fare alberghi e ristoranti, ci hanno rovinato la vita per un porto di fantasmi ma dimenticano che noi siamo una grande famiglia, una vera comunità di persone oneste, che affrontano la vita con il pugno chiuso e con grande dignità”. “Abbiamo raccontato la nostra vita, semplice e pulita, che è poi quella vera. Qui le donne sono guerriere e noi siamo sì l’ultima borgata di Roma, ma siamo Roma”. La speranza – dice Mazzoleni – è che Punta Sacra possa diventare anch’essa un borghetto bello e vivibile, come accaduto per altre parti della città”. Il film racconta di un piccolo spicchio di terra, ma in realtà parla di tanti mondi che si trovano nella medesima condizione con una comunità che vive sospesa nella speranza di essere ascoltata. All’Idroscalo di Ostia, è arrivato il momento di farlo. Oggi più che mai.

Francesca Mazzoleni.

Nata a Catania nel 1989. Regista e sceneggiatrice, diplomata in Regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Lavora tra Roma e Berlino. Nel 2018 esce il suo primo lungometraggio per il cinema, il coming of age Succede tratto dall’omonimo romanzo di Sofia Viscardi, prodotto da Indigo Film e Warner Bros Italia. Nel 2020 presenta alla XVIII edizione di Alice nella città il documentario Punta Sacra ottenendo numerosi premi all’estero (Vision du Réel – Miglior Doc), una nomination ai David di Donatello e il Premio Speciale “Valentina Pedicini” dei Nastri d’Argento.